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Che cos'è?
Quando ci troviamo faccia a faccia con una realtà che non riusciamo a inscrivere dentro i parametri della nostra "enciclopedia" o del nostro immaginario, riusciamo ancora a domandarci: che cos'è ciò che vedo ? E la domanda in questione ha il tono del giudizio sprezzante o quello della curiosità ?
Siamo capaci ancora di accettare l'esistenza di qualcosa che sia incomprensibile al primo guardare (perché di modi di guardare ne esistono infiniti) ? Oppure ci chiudiamo nella sufficienza del "già visto", del "già so", impermeabilizzandoci anima, cuore e testa solo perché non possediamo il parametro (o il preconcetto) per interpretare istantaneamente del senso di ciò che agli occhi si pone? Oppure non sappiamo dargli senso se non lo abbiamo già visto omologato in questa o quella rivista patinata ? Queste domande credo siano oggi fondamentali perché sulle loro risposte possibili si gioca la comprensione o meno (quindi l'identità di "fatto culturale") dell'arte sperimentale contemporanea. Ma soprattutto la comprensione delle cose e dei fenomeni si fonda sulla coscienza e sull'accettazione che ciò che accade non può essere compreso nel suo accadere. L'arte sperimentale contemporanea spinge spesso talmente più in là i suoi modi e i suoi segni da disorientare; essa richiede di superare parametri e consuetudini per portarci nel punto in cui diventa necessario il nostro "non sapere" per permetterci di accedere ad altro sapere. Ma come e soprattutto, cosa dovremmo ancora sapere di nuovo ? Tutto sembrerebbe già detto, ogni eccesso toccato, ogni possibilità esplorata. Sul "come",cioè sulla modalità attraverso cui dovremmo imparare aleggere i fenomeni creativi contemporanei c'è molto da dire: guardare con curiosità e consapevolezza, con cautela e modestia, coscienti ed emotivi, ricombinando e costruendo relazioni possibili tra gli elementi, evidenziando o supponendo gli antecedenti reali e suggestivi, immaginarli; in poche parole, pensare ed interpretare, dotarsi di un metodo credibile. Ovvio ? Non proprio, al giorno d'oggi, dove spesso il pensiero sul contemporaneo segue e si orienta su necessità e funzioni extraculturali, si ordina soggettivamente non ponendosi più il problema di leggere nell'immagine stessa. E cosa mai dovremmo sapere ? L'immagine, l'opera e la sua lettura, pongono un problema di conoscenza ? A priori non saprei dirlo, anzi, non si può dire a priori il "cosa" ma soltanto affermare che esiste la conoscenza specifica dell'opera, che è poi la sua sensatezza e la sua identità relativa o definita che sia. Per la verità siamo un po' tutti disincantati e conosciamo (o crediamo di conoscere) tutto, del resto, qualsiasi cosa, reale o virtuale, in televisione è già successa. Ma quando tutto accade insieme, improvviso e simultaneo, nell'evidenza di una opera (sia essa installazione, performance, pittura o video o cos'altro si vuole) come del resto è davvero per qualsiasi banale momento presente, cosa mai potremmo capire o conoscere del reale nell'istante in cui esso si manifesta ? Immagini a flusso continuo, estrapolate, assemblate, ricombinate; azioni, gesti e parole, segni, scrittura, musica, oggetto, quotidiano, mangiare, pensare, bere …tutto e nulla. Impossibile da comprendere da definire e da fissare in alcunché. Che senso ha un'arte che voglia essere e rappresentare la simultaneità? Certo, impossibile da fissare, ma non impossibile da vivere, interpretare o pensare. Ciò che accade lo si legge e lo si interpreta nel suo accadere, continuo, appena l'attimo dopo che è appena accaduto. Quindi nell'accadere non conosciamo nulla di ciò che sta accadendo, ma pur non potendo dire perfettamente "cos'è", possiamo leggerlo nei tratti e ricombinarlo, cercare sensi e legami, appena l'attimo dopo, l'attimo appena del pensiero riflessivo: questo si, questo ci appartiene comunque. Molta arte sperimentale contemporanea lavora sulla rappresentazione e sull'interpretazione dei flussi. Non nel tentativo di definirli ma di esplorare le relazioni infinite, possibili e molteplici che in essi si costruiscono. Che sia oggetto o situazione, tutto ciò che è normalmente enormemente distante può apparirci sensato solo se rappresentato, attivato e vissuto con l'artista e solo se si accetta la domanda "che cos'è" come la porta d'accesso ad una conoscenza possibile dello stesso visibile. Nell'insieme simultaneo e disorientante (quello che i bizantini realizzavano con la decorazione musiva le luci, i canti rituali e la gestualità) il valore estetico sorge come esperienza, avviene per "possibilità", disponibilità alla partecipazione anche se è previsto che si percepisca in quanto si progetta spesso la stessa partecipazione. Il valore (termine che noi facciamo corrispondere al "senso" alla sensatezza) si da per induzione, pensato possibile dall'artista che combina e manipola l'ambiente, che interpola tecnologia e antichità, rappresentazione con movimento, casualità con intenzione. L'artista di oggi non si propone tanto di dare il "senso" ma di cercarlo infinitamente: la differenza tra una attività artistica "storica" e una sperimentale, sta nel tentativo di cercare il senso con lo spettatore, con il suo coinvolgimento diretto nel gioco interpretativo, nel quale l'artista ipotizza un tema ma non ne esclude nessuno. Li dove limita l'apertura di senso, l'artista risulta a diversi gradienti, compresso, ossessivo, inevitabilmente o implicitamente retorico. Ambienti, environment, installazioni interattive, elementi complessi, disorganici o riorganizzati per ragioni visive, stimoli, pulsazioni … sono questi oggi i "luoghi" e i laboratori del senso, dove l'estetico va cercato con la stessa tensione con cui lo si ricerca nell'analogo vissuto. Dove percorriamo i sensi possibili delle relazioni, dove annaspiamo o gioiamo alla ricerca di una logica e di squarci di equilibri, dove selezioniamo le nostre porzioni di significato. L'universo non ha ordine e se ce l'ha, sta a noi ricomporlo e disegnarlo. La simultaneità non ha il suo senso proprio: sta a noi darglielo con la nostra capacità variabile di seguire le concatenazioni di certi segnali che solo noi, sappiamo conoscere. Se essi risulteranno similari o analoghi a quelli di altri, potremmo anche arrivare a dire di aver scoperto qualcosa che sa di verità. Non si chiede più all'arte di spiegare, così come l'arte non può più illustrare concetti o sostituirsi ad essi o esser da essi sostituita. L'arte può aiutarci a cercare, può proporre: l'artista ha poche certezze, ma non può smettere di cercarle. Solo se si accetta il gioco si può cercare, solo se si vuol dare una risposta credibile al "che cos'è", si può pensare l'esistenza di una risposta. Credo comunque che importi davvero poco quale sia la risposta, ma è certo che mettersi a cercare è già parte della risposta, perché mentre si cerca, si pensa, si ricombina, e potranno apparire sprazzi di bellezza e di senso, dentro, insieme ed intrisi con lo stridore, la difficoltà, la sofferenza visiva. Tutte cose che paradossalmente ci fanno essere diversi da come eravamo; tutte cose che sanno cambiarci da dentro. Come ciò sia possibile, come le contraddizioni più eccessive possano stare insieme e convivere o sorgere l'una dall'altra non ci è dato di fissare, ma sappiamo che accade nella vita e nella memoria e così può accadere nella complessità di un fare artistico che si ispira a quelle dinamiche. Cerchiamo la risposta senza il timore di porci delle domande, apriamo la possibilità perché solo dopo il percorso sapremmo dire se un senso possibile esisteva. Allora potremo dire arte o no, perché l'arte non si riconosce nei suoi stereotipi ma nella sua vicinanza alla profondità intima del "presente" a cui riferisce; … e in ogni caso nel frattempo saremo comunque cresciuti. Del resto, se non viviamo, se non interpretiamo, se non pensiamo il presente non potremmo mai dire altro che "ho vissuto" e mai "vivrò ancora"; ho pensato, ho capito e non "capirò ancora".
Theorèin - Novembre 2004
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